Pedagogia: La pedagogia positivista in Italia

In Italia la cultura positivista arrivò in ritardo rispetto agli altri Stati: dovuto principalmente dalla mancanza di sviluppo industriale e il prevalere di un positivismo dogmatico incentrato su una visione totalitaria e scientista. 


Il positivismo portò ad una modernizzazione dello Stato unitario, di aggiornamento della cultura, dell'allineamento culturale con gli altri Paesi europei e innovazione nei più diversi campi di sapere. Inoltre nel XIX secolo si svilupparono le scienze sociali, come la psicologia, la pedagogia e la sociologia. I metodi e i risultati delle scienze sperimentali furono usati contro i pregiudizi e l'ignoranza; lo scopo era quello di raggiungere il massimo livello di felicità generale, come teorizzò John Stuart Mill.

Venne riservata molta attenzione all'educazione, incentrata maggiormente sul piano biologico, psicologico, sociologico e etico, che pongono la base della pedagogia. 



Il filosofo del diritto Norberto Bobbio (1909-2004) scrisse nel suo "Profilo ideologico del Novecento italiano" che nella cultura italiana ci fu più positivismo che positività, inteso come una prevalenza dello sforzo di far trionfare un'idea. Nel positivismo italiano vi si ritrova una forte componente dogmatica (si pensava di aver trovato la via della verità).

La pedagogia intesa come "scienza dell'educazione" vedeva l'uomo per quello che di fatto esso risultava sulla base delle analisi biologiche e sociali, di conseguenza doveva fidarsi delle leggi dettate dalla scienza sperimentale e studiate mediante il metodo galileiano. 


Il contributo più significativo del positivismo è dato da due aspetti:
Il primo legato all'insegnamento di studiosi, i quali valorizzarono gli aspetti metodologici della scienza sperimentale, ovvero come stimolo alla diffusione di una mentalità critica. Ciò si basava sulla convinzione della superiorità della scienza, interpretata però come apprendimento conoscitivo basato sull'osservazione critica. Il secondo lo si può individuare nel self-helpismo, ovvero nella promozione di ceti popolari di mentalità intraprendente e attiva. 

Secondo Aristide Gabelli la cultura scientifica doveva essere utilizzata per capire le cose e formare persone in grado di esaminare senza pregiudizi i diversi aspetti della realtà. Secondo Gabelli la scuola doveva preparare gente giovine di testa, senza idee preconcette. 
Pasquale Villari, un amico di Gabelli, sosteneva di abituare gli uomini a esaminare in modo razionale le situazioni, elaborare giudizi sostenuti da rilievi oggettivi, formare persone disposte al cambiamento e a investire sul futuro. Secondo lui il positivismo poteva aiutare a risolvere i problemi dell'Italia più povera. 

Il primato della scuola classica restò sempre indiscusso nonostante lo sviluppo scientifico. La poesia di Giosuè Carducci risulta essere un modello di quello che sarebbe dovuto essere il liceo classico in quel periodo, ovvero laico, nazionalistico e anticlericale. Si pensava che la formazione della scuola classica fosse riservata al ceto dirigente del Paese, inoltre è emerso il bisogno di persone specializzate negli ambiti tecnici e scientifici. 



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